Il vino che vi voglio raccontare oggi è stato per me una scoperta veramente piacevole.
Quando lo proponiamo nel nostro Ristorante IL Pescegatto ai nostri clienti che si apprestano ad abbinarlo a una cena tutta a base di pesce raccontiamo la sua storia ,la storia di chi lo produce e la battaglia contro la disciplinare per ottenere la D.O.C.
Pensate cheil 70% di chi lo ha degustato da noi ci ha sempre chiesto se poteva poi comprarne una bottiglia.
IL suo nome è SPIGAU CROCIATA LE Rocche del Gatto.
Per nostra scelta serviamo un vino del 2009 è una selezione della famosa uva bianca autoctona,vinificata in purezza come fosse uva rossa,lo serviamo a temperatura ambiente perchè visto i suoi 14 gradi è paragonabile proprio ad un rosso ma dopo averlo lasciato decantare qualche minuto....lascio a voi il desiderio di venirci a trovare per poter provare questa delizia
Il risultato è un vino sorprendente per complessità e struttura.
Un vino che comincia a dare il meglio di sè ad almeno 3 anni dalla vendemmia ,e qui è basata la nostra scelta dell'anno 2009.
Sul fondo può esserci la presenza di qualche cristallo ma è giustamente la prova che il vino non è stato sottoposto ad alcun trattamento chimico o fisico.
Ora vi voglio raccontare la storia anche del produttore.
Chi domanda quanti anni ha, risponde «ho fatte 57 vendemmie», con
gli occhi sottili e il sorriso accennato ma accogliente dei contadini
liguri. Fausto De Andreis (azienda Rocche del Gatto, Bastia di Albenga) è
uno che di vino davanti ai suoi occhi (e tra le sue mani, sul suo
palato) ne ha visto passare davvero tanto: «Ho lavorato anche lontano
dalla Liguria, alla Olivetti per esempio – racconta – ma non ho mai
voluto rinunciare alla vigna e alla vendemmia. Quando era tempo facevo
avanti e indietro, e dal ’69 ho cominciato io a vinificare». E se è vero
che dentro un vino ci sono la storia e la passione di chi lo produce,
lo Spigau più di tutti gli altri rispecchia il carattere di quest’uomo:
genuino, mai stucchevole, diverso da ogni altro pigato si possa trovare
in giro.
Passare qualche ora in compagnia di Fausto, in cantina, tra le botti o
all’osteria, significa poter esplorare un mondo di esperienze e cultura
del vino, soprattutto un modo di intendere il lavoro del vignaiolo
certamente non comune. «La tipicità – spiega – è un insieme di pregi e
di difetti: è buona se sono di più i pregi. Ma ormai siamo in mano al
mercato, ai soldi facili e siamo arrivati al paradosso che c’è chi
sostiene che il profumo di banana è tipico, ed essendo tipico è buono.
Io cerco di fare vini come si facevano prima della bananalizzazione: in
pratica, senza il falso storico della banana, e non banali».
Assaggiando i vini di Ricche del Gatto si scoprono caratteri marcati,
difficili da trovare in altri vini. Il vermentino molto sapido, fresco e
con una buona mineralità, il pigato fruttato (piacevoli le note di
pesca) e un’acidità che promette un buon invecchiamento. E se si prova a
spiegare i profumi che ci sono nel pigato, il tono diventa ironico e il
sorriso sempre accennato: «È semplicemente “la maledetta puzza di
Liguria» dice Fausto.
La
maggior parte delle spiegazioni (e il maggior carico di passione messo
sul tavolo) arrivano però con lo Spigau, vero e proprio marchio di
fabbrica di questa azienda, un vino che non entra nei parametri della
doc per il pigato (anche perché Fausto De Andreis non vuole
assolutamente farlo rientrare in quei parametri), ma che del pigato è
l’espressione più genuina di questa terra, perché fa fermentazione con
lieviti autoctoni, presenti sulle bucce dell’uva. «Resto dell’idea che
esistano due modi per firmare la bottiglia. Il primo è il terroir: vini
monocultivar con le loro caratteristiche ampelografiche, un trattamento e
una lavorazione secondo la tradizione e ovviamente il tocco del
produttore. Il secondo l’ho chiamato Cems, che sta per Chemical
enological man signature: significa che l’uomo diventa preponderante,
che un correttivo diventa sostantivo, significa in poche parole che
certi enologi fanno lo stesso vino sempre e comunque, a prescindere o
quasi dalle uve che ci finiscono dentro».
Puntiglioso e attento a ogni dettaglio per garantire la qualità del
prodotto che va sul mercato, Fausto De Andreis solo una volta perde la
patina del contadino burbero: «Voglio continuare a fare il vino in
questo modo – dice – e spero che le mie idee e la mia conoscenza non si
perdano: vorrei tramandarle, trovare qualcuno che abbia voglia di
imparare». Una saggezza da tutelare, che chiude il nostro incontro con
una battuta esemplare: «Se devo dare una definizione semplice dei miei
vini, dico che il vermentino è un grande solista, ma il pigato è
un’ottima orchestra».
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